Crisi israelo-palestinese: In Egitto un summit “mutilato”

Meloni al summit in Egitto: “Occorre lavorare per evitare una guerra di religione, per un’iniziativa politica che contempli la soluzione di due popoli e due Stati, con una tempistica definita e concreta, perché i palestinesi hanno diritto a uno Stato e a governarsi da soli in libertà e gli israeliani hanno diritto all’esistenza e alla sicurezza”.

(di Francesco Matera) Tour de force diplomatico in Medio Oriente per il presidente del Consiglio italiano Giorgia Meloni. In un giorno ha partecipato alla conferenza sulla Pace organizzata dal presidente egiziano Al Sisi per poi recarsi a Tel Aviv in tarda serata. Ha parlato al telefono con il presidente Isaac Herzog e incontrato il capo del governo, Benjamin Netanyahu al quale, oltre alle condoglianze del governo italiano, ha invitato alla moderazione e alla necessità di garantire un accesso umanitario a Gaza per aiutare una popolazione ormai allo stremo.

Sul discorso dei terroristi, invece, Meloni è stata lapidaria: “E incredibile quello che abbiamo visto due settimane fa, noi difendiamo il diritto di Israele a difendersi. Comprendiamo che è un atto di terrorismo che deve essere combattuto. Pensiamo e crediamo che voi siate in grado di farlo nel migliori dei modi, perché noi siamo diversi da quei terroristi“.

Netanyahu ha ringraziato il premier italiano per la visita, confermare la determinazione israeliana:”Grazie per essere venuta. Questo è la nostra ora più buia. Quella in corso con Hamas è una battaglia tra forze di civiltà e dei mostri, dei barbari che hanno assassinato, infangato, violentato, decapitato, bruciato persone e bambini. Ci aspettiamo che tutti i Paesi che si sono schierati per combattere l’Isis, si schierino ora per combattere Hamas“.

Al summit in Egitto il premier italiano nel suo speech ha detto: “Non diventi un conflitto più ampio, una guerra di religione, un conflitto tra civiltà, vanificando gli sforzi fatti per normalizzare i rapporti. L’impressione che ho, per le modalità con cui si è svolto l’attacco, è che l’obiettivo di Hamas fosse costringere Israele a una reazione contro Gaza che creasse un solco incolmabile fra Paesi arabi, Israele e Occidente, compromettendo la pace per tutti i cittadini, compresi quelli che dice di voler difendere. Il bersaglio siamo tutti noi, e cadere in questa trappola sarebbe molto stupido. Il target di Hamas era il processo di normalizzazione dei rapporti di alcuni Paesi arabi con Israele. Hamas non difende la causa palestinese, ma la jihad islamica, loro vogliono creare uno scontro di civiltà, ma non lo deve diventare perché non lo è. Uno Stato è pienamente legittimato alla sua esistenza e alla difesa dei confini, ma la reazione non può essere mai motivata da sentimenti di vendetta, deve fondarsi su ragioni di sicurezza, commisurando la sua forza e tutelando la popolazione civile (rivolgendosi ad Israele ndr)”.

Un summit “mutilato”

Al termine del summit, voluto da Al Sisi, non vi è stato un comunicato finale congiunto ma solo un testo conclusivo affidato all’Egitto dove non si menziona mai Hamas (per volere di Algeria e Qatar), né il diritto di Israele alla difesa, né la liberazione degli ostaggi israeliani e occidentali.

Si enfatizza, invece, sull’urgenza di aiuti umanitari a Gaza e sulla strada da perseguire in futuro, quella dei due popoli, due Stati. Al Sisi pensa che la formula possa essere incentrata sui confini del 1967 e con Gerusalemme Est come capitale.

Sono una ventina i Paesi che hanno partecipato al vertice: dal Qatar alla Turchia, dall’Arabia Saudita agli Emirati Arabi Uniti. Per quanto riguarda i leader europei, oltre a Meloni c’erano il presidente del governo spagnolo Pedro Sanchez (presidente di turno dell’Unione europea), Kyriakos Mitsotakis (Grecia) e Nikos Christodoulides (Cipro). Per Germania, Francia e Regno Unito presenti i ministri degli Esteri. Tra i partecipanti anche il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, il presidente del Consiglio europeo Charles Michel, l’alto rappresentante della politica estera Ue, Josep Borrell, il leader dell’Anp Abu Mazen, l’inviato cinese per il Medio Oriente Zhai Jun e il vice ministro degli Esteri russo Mikhail Bogdanov.

Il preludio all’attacco via terra

Nel frattempo l’esercito israeliano ha intensificato nella notte i bombardamenti per spianare la strada all’annuciato intervento via terra. E’ di poche ore fa la notizia che gli Stati Uniti abbiano rafforzato la loro presenza militare in tutto il Medio Oriente a causa della recente escalation da parte dell’Iran e delle sue forze affiliate nella regione (Hezbollah). Il segretario alla Difesa Usa, Lloyd Austin, ha anche annunciato che saranno schierati in tutta la regione un sistema di difesa antimissile ad alta quota (THAAD) e diverse batterie di missili terra-aria Patriot e altri mezzi militari sono stati collocati in uno stato di pre-schieramento.

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