Erdogan mette piede in Libia

Il presidente Recep Tayyip Erdogan ha detto che potrebbe intervenire a sostegno del governo libico di unità nazionale  del premier Fayez al-Sarraj. La base del possibile intervento turco, scrive il Giornale è l’accordo Tripoli-Ankara firmato il 27 novembre, un memorandum d’intesa che va dalla collaborazione militare alle perforazioni di gas nel Mediterraneo. Il Parlamento turco lo ha ratificato a tempo di record il 5 dicembre. Erdogan nelle sue dichiarazioni è diretto e accusa  la Russia di sostenere  le milizie del generale Kalifa Haftar, tramite il gruppo di contractor Wagner.

A conferma di quanto era stato scritto dal New York Times che all’inizio di novembre aveva contato circa 200 contractor o mercenari russi al soldo del patto tra Mosca e Haftar. «C’è il rischio che la Libia si trasformi in un’altra Siria se la Russiaammonisce ancora il leader turco – continua a sostenere l’auto-proclamato esercito nazionale libico di Haftar». Perciò Putin riconsideri la sua posizione. Come aveva spiegato nei giorni scorsi l’inviato dell’Onu per la Libia, Ghassan Salamé, la Libia non è più terreno di scontro fra Paesi come l’Italia e la Francia, ma altri attori internazionali sono scesi in campo e la crisi è globale: Russia, Turchia, Paesi del Golfo su posizioni anche tra loro diversificate.

I turchi, per esempio, possono contare su una importante base militare in Qatar, che si trova rispetto a Emirati e Arabia Saudita su posizioni opposte, al fianco di al-Sarraj, unico premier sinora ufficialmente riconosciuto dall’Unione Europea e dall’Onu. E che tuttavia è debole, tanto da aver bisogno come l’aria dell’appoggio di Paesi come la Turchia per riuscire a non crollare. Sia Erdogan, sia il portavoce del presidente Putin, Dmitry Peshkov, confermano che nei prossimi giorni i due leader si confronteranno al telefono per discutere la situazione e delineare una via d’uscita. Peshkov ribadisce intanto la linea ufficiale del Cremlino: «Mantenere relazioni con tutti gli attori del teatro politico e militare interno in Libia, auspicando che le parti in lotta manifestino la loro volontà di scendere a compromessi». Sullo sfondo dei movimenti militari, anche i nuovi schieramenti sul fronte economico e energetico. L’intesa di fine novembre prevede infatti una nuova delimitazione delle cosiddette Zone economiche esclusive (Zee) tra la Libia di al-Sarraj e la Turchia, con la conseguente creazione di un corridoio turco-libico capace di estromettere da un lato la Grecia, storica avversaria dei turchi, dall’altro Cipro, Egitto e Israele. Erdogan sa bene che il governo di al-Sarraj e lo scudo delle tribù di Misurata sono appesi a un filo, perciò ha  precostituito le basi legali per rivendicare in ogni caso propri diritti nel Mediterraneo orientale.

Di qui, anche, l’annuncio di «esplorazioni congiunte con la Libia alla ricerca di idrocarburi offshore nelle aree definite dal memorandum d’intesa». E l’imbarazzo della Ue che per bocca della presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, definisce «inaccettabile l’azione della Turchia nell’Egeo” e a tutela della Grecia, membro UE, spiega che manderà “un chiaro messaggio».

 

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