“Azzerata” l’influenza italiana in Libia, Erdogan sigla un nuovo accordo con Tripoli

(di Andrea Pinto) La Turchia ha firmato pochi giorni fa un nuovo accordo con la Libia per lo sfruttamento in concessione di giacimenti di gas e petrolio che estromette l’Italia ed altri player internazionali dalle risorse libiche.

Dopo l’accordo del 2019 firmato da Erdogan e dall’allora presidente del consiglio presidenziale libico al Serraj, Turchia e Libia hanno firmato un nuovo accordo ancora più esclusivo, che concede alla Turchia lo sfruttamento comune dei nuovi giacimenti individuati, la costruzione di nuovi impianti di raffinazione e soprattutto il trasporto in Turchia e verso altri Paesi, tramite metanodotti e oleodotti, di gas e petrolio già sfruttati in Libia e di quelli dei nuovi giacimenti nelle  stesse acque che Grecia, Egitto e Cipro rivendicano come parte delle loro Zee (Zone economiche esclusive).

Michela Mercuri è stata intervistata da ilsussidiario.net. “In questo modo” ha detto Michela Mercuri, docente di storia contemporanea dei paesi mediterranei nell’Università di Macerata ed esperta di Libia, “la Turchia completa il disegno egemonico sulla Libia iniziato nel 2019 con il supporto militare di Tripoli nella guerra contro la Cirenaica. È un accordo di straordinaria importanza e di impatto negativo per l’Italia, che è colpevole di aver girato le spalle prima ad al Serraj e poi alla Libia intera, lasciando così mano libera a Erdogan”.

Il memorandum di intesa firmato tra Libia e Turchia”, aggiunge Mercuri, “consiste di due punti. Il primo prevede la possibilità da parte turca di effettuare esplorazioni in ogni angolo della Libia, mentre il secondo punto ribadisce quanto stabilito già nel 2019, con la creazione di un corridoio marittimo esclusivo tra Libia e Turchia che interesserebbe anche le coste della Cirenaica. Il problema è che la Cirenaica non è sotto il controllo del governo di unità nazionale che ha a sede a Tripoli. Da questo punto di vista è strano il silenzio di Haftar: fa sorgere il dubbio che questo accordo possa allargarsi alla Cirenaica ,nonostante l’opposizione del parlamento di Tobruk. È una intesa ambigua, che va a contraddire il diritto internazionale”.

L’attuale governo di unità nazionale è stato nominato ad interim dalle Nazioni Unite in vista delle elezioni, per cui ha un ruolo transitorio, non potrebbe firmare questo tipo di accordi che hanno una validità perlomeno di tre anni. Il problema è che nessuno sa quando ci saranno le elezioni e quindi quali siano i veri limiti di questo governo. Secondo quanto stabilito dall’Onu, questo governo dovrebbe svolgere compiti di ordinaria amministrazione in attesa delle elezioni. Se queste elezioni però non ci saranno a breve, si crea un cortocircuito che andrebbe risolto a livello di Nazioni Unite, ma evidentemente le pressioni della Turchia sono state troppo forti”, stigmatizza Mercuti.

Quest’ultimo è un accordo di estrema importanza, perché dà alla Turchia quella proiezione marittima che da sempre cerca. Ma le offre anche una sorta di “ius primae noctis” sulla questione degli idrocarburi, perché prevede non solo trivellazioni ed esplorazioni, ma anche trasporto del petrolio libico. Paradossalmente potremmo finire a comprare il petrolio libico dalla Turchia e questa è una grave disattenzione non solo dell’Italia, ma di tutta la comunità internazionale. Non solo: la Turchia ha predisposto investimenti per 28 miliardi di euro nella ricostruzione della Libia, ha un ruolo predominante sul territorio, in mare e nelle infrastrutture.

La Turchia ha messo le mani sulla Libia fin dal 2019, sostituendosi all’Italia. Siamo stati noi a lasciare loro campo libero disinteressandoci completamente della nostra ex colonia. Se ora volessimo tornare in gioco, dovremmo andare a bussare alle porte di Erdogan. Abbiamo commesso un errore tragico, perché in politica estera si guarda a tutti gli scenari in campo, e noi ci siamo messi a guardare solo all’Ucraina. La pagheremo in termini energetici, migratori e di importanza internazionale. Questo accordo poi ha una valenza geopolitica. La Turchia nel Mediterraneo è sempre stata isolata, mentre Grecia, Cipro e Israele hanno fatto accordi di cooperazione per lo sfruttamento delle risorse energetiche. Con questo nuovo accordo Ankara trova una strada per una più forte collocazione nel Mediterraneo e una maggiore valenza geopolitica nell’area.

Gli accordi del 2019 e le flebili reazioni dei Paesi europei

Il premier del governo di accordo nazionale libico, Fayez al Sarraj, nel 2019, aveva chiesto a Italia, Usa, Regno Unito, Algeria e Turchia di “attivare gli accordi di cooperazione di sicurezza” per “respingere l’attacco a Tripoli, condotto da qualsiasi gruppo armato“. Sarraj aveva, inoltre, chiesto ai cinque Paesi di “cooperare con il governo di accordo nazionale nella lotta alle organizzazioni terroristiche”, all’immigrazione clandestina e ai trafficanti di esseri umani.

La posizione italiana. “La soluzione alla crisi libica può essere solo politica, non militare. Per questo motivo continuiamo a respingere qualsiasi tipo di interferenza, promuovendo invece un processo di stabilizzazione che sia inclusivo, intra-libico e che passi per le vie diplomatiche e il dialogo“. Così fonti della Farnesina all’indomani della lettera inviata dal presidente libico al Sarraj all’Italia e ad altri Paesi circa la richiesta di aiuti militari.

Di fronte alla flebile reazione europea Turchia e Libia nel novembre 2019 hanno sottoscritto un’intesa su una collaborazione militare che, come ricordato da Erdogan, prevedeva anche la possibilità di un intervento militare turco, in caso invito. L’intesa prevedeva la nuova delimitazione delle rispettive Zee, le Zone Economiche Esclusive nel Mediterraneo orientale. L’accordo venne poi ratificato anche dal parlamento turco mentre Erdogan avvertiva che l’operazione svolta dal suo governo assieme a quello di Tripoli era perfettamente lecita anche sotto il profilo del diritto internazionale.

Il Parlamento turco nel gennaio del 2020 ha poi anche approvato l’invio di truppe sul suolo libico a sostegno del GNA (Government of National Accord) a Tripoli mentre avveniva la conquista di Sirte da parte delle forze di Haftar. Il presidente turco aveva dichiarato che l’obiettivo del suo intervento militare “non era quello di combattere” ma di “supportare il governo legittimo ed evitare tragedie umanitarie”.

“L’accordo con la Turchia – annunciava un portavoce dell’esecutivo libico – è entrato ufficialmente in vigore” con la pubblicazione degli accordi sulla Gazzetta ufficiale libica”. (inizio del 2020 ndr).

Siamo pronti – affermava senza mezzi termini il presidente turco – ad effettuare esplorazioni congiunte con la Libia alla ricerca di idrocarburi offshore nelle aree delimitate dal memorandum d’intesa”.

La Turchia con questa mossa ha, di fatto, estromesso Italia, Francia ed altri Paesi europei dalla Libia, non solo politicamente ma anche sotto il profilo commerciale e petrolifero.

Guardando una cartina del Mediterraneo orientale, la conformazione dei nuovi confini delle rispettive Zee appare a prima vista una provocazione. L’intesa tra Ankara e Tripoli potrebbe di fatto creare un corridoio turco – libico capace di estromettere la Grecia da un lato e CiproEgitto ed Israele dall’altro, già attivi con il gasdotto sottomarino EastMed.

Naturalmente la necessità da parte di Ankara di salvaguardare il proprio interesse nazionale, nello specifico quello energetico, deve essere contestualizzato all’interno di un progetto di politica estera molto più ampio volto a rafforzare la propria influenza sia in Medio Oriente che in Nordafrica in un’ottica neo-ottomana.

L’Unione Europea aveva ribadito quanto aveva pronunciato tre anni prima: “La Ue ricorda che la sua posizione su questo Memorandum è stata chiaramente dichiarata dal Consiglio europeo nel dicembre 2019 e rimane immutata. Il Memorandum d’intesa fra Libia e Turchia del 2019 vìola i diritti sovrani di stati terzi, non rispetta la Legge del Mare e non può produrre nessuna conseguenza legale per stati terzi”.

La Ue non è un organo giudiziario internazionale che può commentare o giudicare accordi tra paesi terzi sovrani. Qualsiasi obiezione a un accordo firmato da due Stati sovrani costituisce una violazione del diritto internazionale e dei principi fondamentali dell’Onu”, aveva  commentato il portavoce del ministero degli Esteri turco Tanju Bilgic in riferimento alle dichiarazioni di Bruxelles sul nuovo Memorandum.

Il Dipartimento di Stato americano aveva dichiarato che il governo provvisorio di unità nazionale della Libia ha l’obbligo, fissato dal Forum di dialogo politico libico (l’istanza che ha approvato le attuali istituzioni libiche nel febbraio 2021), di non firmare nuovi accordi atti a turbare  le relazioni estere del Paese o che si tradurrebbero in obblighi a lungo termine. “Invitiamo tutte le parti ad astenersi da azioni che rischiano di aumentare la tensione nel Mediterraneo orientale”, aveva affermato un portavoce del Dipartimento di Stato.

La risposta di Atene. “Il “memorandum” turco-libico del 2019 è illegale, nullo e invalido. Pertanto, nessuno ha il diritto di invocarlo”, così in un tweet il ministro degli Esteri Nikos Dendias.

In Libia la firma del nuovo Memorandum era stata da subito avversata dagli oppositori di Tripoli. Aguila Saleh, presidente della Camera dei Rappresentanti (il cosiddetto “parlamento di Tobruk”), e Fathi Bashagha, capo del governo alternativo sostenuto dal parlamento della Cirenaica, hanno “bollato” l’accordo del 3 ottobre 2019 come nullo, così come ha fatto l’Alto Consiglio di Stato (altro organo di transizione). In una lettera alle Nazioni Unite, Saleh aveva  affermato che l’accordo non è vincolante per lo Stato libico perché il mandato del governo ad interim con sede a Tripoli, guidato da Abdulhamid Dabaiba, è scaduto. Ha avvertito che l’accordo destabilizzerebbe il Mediterraneo orientale. Bashagha lo ha deprecato come una minaccia alla pace e alla stabilità in Libia.

Gli oppositori di Dabaiba sostengono che il suo mandato è terminato nel dicembre 2021 quando la Libia non ha tenuto le elezioni, come delineato nella road map  per la pace mediata dalle Nazioni Unite. Inoltre, affermano, la road map non autorizza il governo ad interim di Dabaiba a concludere accordi internazionali. Persino il ministro del Petrolio del governo di Dabaiba, Moahamed Aoun, si è lamentato di essere stato esautorato alla vigilia della firma del nuovo memorandum, in quanto dubbioso dei suoi contenuti. Le deleghe di Aoun sono state trasferite al ministro dell’Economia Muhammad Al-Huwayj, che ha firmato il Memorandum per parte libica insieme al ministro degli Esteri signora Najla el Mangoush.

ENI, l’ultimo baluardo italiano

Ad agosto 2022, l’Amministratore delegato di Eni Claudio Descalzi, ha incontrato a Roma, il Presidente della National Oil Corporation libica (NOC) Farhat Omar Bengdara, per discutere delle attività di Eni in Libia e i progetti strategici. Claudio Descalzi ha confermato al Presidente della NOC l’impegno di Eni nelle attività operative nel Paese e la volontà di lanciare una nuova fase di investimenti volti a incrementare la produzione di gas, facendo leva sul potenziale esplorativo e sugli impianti esistenti che garantiscono l’accesso al mercato domestico e a quello di esportazione europeo. L’Amministratore delegato di Eni ha inoltre accolto con favore il piano della NOC di incrementare la produzione giornaliera del Paese fino a 2 milioni di barili di olio al giorno confermando il supporto di Eni nel raggiungimento di questo obiettivo. Si è inoltre discusso dell’implementazione di progetti legati alle rinnovabili in Libia.

Attraverso il gasdotto Green Stream il gas libico prodotto dai giacimenti di Wafa e Bahr Essalam operati da Mellitah Oil & Gas, società operativa compartecipata paritariamente da Eni e NOC, raggiunge l’Italia. Il gasdotto, composto da una linea di 520 chilometri, attraversa il Mar Mediterraneo collegando l’impianto di trattamento di Mellitah sulla costa libica con Gela in Sicilia. La capacità del gasdotto ammonta a circa 8 miliardi di metri cubi all’anno.

La promozione dello sviluppo locale da parte di ENI

Le iniziative che ENI avvia nei Paesi di presenza fanno leva su un approccio integrato che coinvolge comunità locali e partner per condividere con loro competenze e risorse economiche. In linea con gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’Onu promuoviamo iniziative che contribuiscono al miglioramento dell’accesso all’energia, alla diversificazione economica, all’educazione e alla formazione professionale, alla tutela del territorio, all’accesso all’acqua, ai servizi igienici e al miglioramento dei servizi sanitari per le comunità. In Libia, in particolare, siamo impegnati in iniziative volte a garantire la continuazione dell’approvvigionamento di energia elettrica attraverso il supporto alla gestione di quattro centrali, alla formazione del personale, allo studio di soluzioni con energia rinnovabile e alla formazione sulla sicurezza degli impianti di fornitura. Lavoriamo inoltre al miglioramento del settore  sanitario, con interventi di supporto diretto ai presìdi sanitari e di formazione del personale medico. Nel 2021 abbiamo completato una serie di iniziative in collaborazione con la General Electricity Company of Libya (GECOL) e con la National Oil Company (NOC), per il rafforzamento dei settori della generazione e della trasmissione di energia elettrica, tra cui la fornitura di pezzi di ricambio per la manutenzione delle principali centrali elettriche del Paese, che garantiscono circa 3 GW per il fabbisogno di circa 2 milioni di nuclei famigliari e la fornitura di quasi tutto il gas necessario all’alimentazione delle centrali elettriche.

Esplorazione e programma di sviluppo di ENI

ENI conduce le attività su una superficie complessiva sviluppata e non sviluppata di 26.636 chilometri quadrati, di cui 13.294 chilometri quadrati in quota Eni. L’attività di esplorazione e sviluppo è raggruppata in 6 aree contrattuali onshore e offshore. Le attività Eni in Libia sono regolate da contratti di Exploration and Production Sharing Agreement (EPSA). Nel 2021 la produzione in quota Eni è stata di 168 mila boe al giorno.

La Difesa italiana in Libia

Il Capo di Stato Maggiore dell’Esercito libico, il tenente generale Mohamed Al-Haddad, ha incontrato a giugno scorso, il capo del COVI italiano, il generale Francesco Paolo Figliuolo, l’ambasciatore italiano in Libia, Giuseppe Buccino, e la delegazione di accompagnamento, presso la sede dello Stato Maggiore della Difesa libica. Lo si apprende in una nota di Tripoli, che aggiunge che all’incontro hanno preso parte il Presidente del Comitato di Cooperazione Militare Libico-Italiana, il Capo dell’Autorità per le Operazioni Militari ed il Direttore del Dipartimento di Ingegneria Militare.

La Task Force “Ippocrate” in Libia  è stata recentemente confermata con circa 200 militari mantenendo sul campo un proprio assetto sanitario, per fornire assistenza al personale militare italiano che continuerà a operare in Libia, oltre al Mobile Training Team (Mtt) di formatori e addestratori anche in campo sanitario. Nelle scorse settimane, in seguito ad accordi tra le autorità italiane e libiche, la Difesa italiana ha disposto il rientro di un’aliquota di personale medico-sanitario, mezzi e materiali dislocati a Misurata, con la conseguente riconfigurazione della presenza sanitaria militare italiana dal livello Role2 a Role1, operazione coordinata e condotta dal Comando operativo di vertice interforze (Covi).

“Azzerata” l’influenza italiana in Libia, Erdogan sigla un nuovo accordo con Tripoli