Intelligence: dall’Africa nuove crisi globali

(di Andrea Pinto) Le agenzie di intelligence occidentali sono certe che le nuove crisi globali proverranno dall’Africa dove si sta rinnovando la violenza terroristica con la nascita di molti “califfati” mentre lo Stato islamico, al-Qaeda e altre milizie sfruttano il ritiro delle truppe straniere per riorganizzarsi. Dopo anni di logoramento in Afghanistan, Iraq e Siria, in seguito ai bombardamenti guidati dagli Stati Uniti, sia i gruppi jihadisti che i loro affiliati si stanno riorganizzando in particolare nella regione del Sahel. A loro favore la nuova politica americana di ritirarsi dai conflitti lontani dalla patria. Ritirano le truppe dall’Afghanistan e di sicuro non le sposteranno in Africa. La Francia è l’unica nazione, ad oggi, presente nell’area: ha però già perso tanti miliardi di euro e 55 uomini senza aver raggiunto alcun risultato degno di nota. Parigi ha inviato, per la prima volta, le sue truppe nel lontano 2013 per cercare di stabilizzare la regione dopo che i jihadisti avevano conquistato oltre la metà del Mali. Macron, di recente, ha però annunciato che la Francia terminerà la propria missione dal momento che nell’ex colonia vi è stato in secondo colpo di stato in meno di un anno, decretando così l’impossibilità di stabilizzare la regione ed il fallimento della missione. In esame anche la continuazione della missione per un gruppo di 5100 militari transalpini impiegati in un programma di supporto militare che copre Mauritania, Niger, Burkina Faso e Ciad.

Le altre nazioni. Gli Stati Uniti forniscono il trasporto aereo alle forze francesi. La Gran Bretagna ha 300 soldati in servizio con le forze delle Nazioni Unite in Mali. L’Italia si appresta a partecipare con la missione Takuba la cui area di operazione è individuata ad est del fiume Niger, nella zona dei “tre confini” (Mali, Niger, Burkina Faso) chiamata Liptako-Gourma.

La partenza della maggior parte degli eserciti occidentali lascerà i gruppi terroristici e i loro affiliati senza un nemico comune da combattere, hanno detto fonti locali , provocando così una brutale lotta per il dominio del territorio. I gruppi jihadisti si stanno già organizzando per trarre vantaggio dal “caos” che si preannuncia. Due settimane fa nella provincia dell’Africa occidentale dello Stato islamico (Iswap) è stato ucciso Abubakar Shekau, uno dei più brutali capi di Boko Haram, il gruppo terroristico islamico della Nigeria. Aveva giurato fedeltà all’Isis in passato, ma sembra che la leadership centrale dell’organizzazione lo ritenesse, per via dei suoi metodi, la causa dell’allontanamento di troppe persone dal credo musulmano in Nigeria.

Infatti c’era una taglia di 7 milioni di dollari sulla sua testa per svariati crimini che includevano il rapimento di massa di ragazze adolescenti e l’utilizzo di bambini come attentatori suicidi. Iswap, da sempre contraria a queste azioni estreme, si concentra invece sulla conquista del consenso dei civili musulmani prendendo di mira i militari stranieri. Abu Musab al-Barnawi, leader di Iswap, ha attirato molte reclute denunciando Shekau per il suo efferato estremismo. Con la sua uccisione la leadership centrale dell’Isis sembra destinata a consolidare i gruppi jihadisti sotto la guida del suo ramo regionale.

“Sono oggi il gruppo terroristico più forte”, ha detto una fonte di intelligence occidentale. Folahanmi Aina, un esperto di Boko Haram e della sicurezza nella regione del bacino del lago Ciad, ha affermato che il dominio di Iswap prolungherebbe l’insurrezione e consentirebbe anche al gruppo di allestire campi di addestramento per reclute e combattenti stranieri. “Iswap consolida così il suo dominio nella regione, acquisendo anche un vantaggio tattico e operativo”, ha affermato Folahanmi.

Intelligence: dall’Africa nuove crisi globali